Lui la guarda da dietro i suoi occhiali chiari, ha lo sguardo cristallino dei Carpazi, e le mostra i « soldatini », il generale, il sergente maggiore, il caporale, il tenente, sono tutti pronti, dice agitando le avanbraccia e le braccia in aria in movimento scomposto, come se l’esercito fosse in ritirata e i soldati segretamente spaventati avessero preso la fuga, presto, presto, il movimento delle braccia indica ora un ordine, è l’ora del generale, tutti i soldatini sono sulla tavola, devi andare in cucina, dice lui, continuando i suoi gesti come un attore su una scena e le si avvicina con le gambe tese e il suo passo da marionetta, le tende la mano grande, aprendo tutta la palma e le dita, le mette la mano dietro la schiena e la solleva.
Lei lo guarda intensamente, senza parlare, i suoi occhi neri sono ora striati, con il tempo si sono ancora più allargati questi occhi lago e con gli occhi continua a parlare e raccontare, mentre la parola è diventata più lenta, si abbandona alla sua mano e mette tutta la sua forza nella schiena per alzarsi, poi cammina piano piano e si siede in cucina. Lei apre la bocca e sorseggiando il suo tè oramai freddo, prende tutte queste medicine, una alla volta, una dopo l’altra, il generale per il cuore, il tenente per la memoria, il caporale per la pressione, e così via tutto l’esercito si piega davanti a lei, inghiottito da sorsate di tè nero, obbedendo alle regole di lui, che la scuote con i gesti e con le parole, chiamandola mamma o mammina, lei si lascia andare ai suoi ordini e mamma sua mamma lo è diventata per davvero per questi ultimi anni della sua vita e condividono il tempo nel silenzio della casa, nelle conversazioni sulla famiglia e il pranzo della domenica, nel rumore delle videochiamate verso la Romania, in un corpo a corpo da madre e figlio.