A casa, dietro alla scrivania, la stessa di ora la scrivania, ma dietro a finestre diverse, di città diverse, oggi a Marsiglia quella scrivania, la prima finestra quella di via Guerrazzi a Firenze, proiettata sulla strada, spettacolo sul mondo, passanti, il villino di fronte, giornate di pioggia, giornate di sole che attraversano questa grande finestra verticale di una strada secondaria, e scrivere lettere e lettere, e poi sempre a casa, a corso dei Tintori, con il convento di Santa Croce per sbieco in quegli anni difficili con la voglia di partire e tutto che scoppia dentro e scoppiare dentro questa città, dentro questi spazi chiusi, dentro a questa città di spazi chiusi alla ricerca di altro, nelle biblioteche universitarie, a piazza Brunelleschi, dentro quel chiostro, di che ordine religioso ? a studiare con Letizia, la scrittura è ancora preparazione di corsi, appunti di letture, trascrizioni, lettura di codici medievali, appunti di corsi in chiese sconsacrate, in conventi, in sale capitolari, in anfiteatri improvvisati, e poi quelle illuminazioni e frasi che arrivano all’improvviso. Consegnare tutto a lettere, corrispondenze, diari, chiudere tutto il flusso della scrittura là dentro. Quegli anni parigini, art pen, la stilografica con la punta tagliata che sembrava di scrivere un manoscritto del Medio Evo, camminare nella città, su binari abbandonati e friche che diventeranno da lì a pochi anni nuovi immensi quartieri della città, scrivere su fogli color ocra, quel testo Parigi è una città di mare ora in uno scaffale, fra i tanti testi negli scaffali o nel profondo del computer, testi sommersi, scrivere alla Cité U, in camera, scrivere in quel caffè lungo la Senna, non lontano dal Marais, con quell’immenso cane e quella scala a chiocciola che saliva su, il piacere di tornare sempre in quel caffè, abitudine foriera di tante altre pause in mezzo alla città, scrivere al primo piano della casa Lucien Paye alla cité U, nello spazio della biblioteca, a far finta di studiare o di scrivere, perturbata dalla stagione dell’amore.
A Firenze in tanti posti, in tanti altri posti ancora. A via Benedetta, vicino alla stazione di Santa Maria Novella, dove è stato l’inizio. Con Cristina in mezzo alla strada che riceve clienti. Vederla ogni mattina, conoscerla piano piano, andare a mangiare insieme alla pizzeria di via della Scala e raccontarci le nostre vite incomparabili. Scrivere in casa. In quella stanza su via Benedetta, che la strada la sentivi entrare dentro. In quella casa torre. E quel testo Voci di via Benedetta che è nato lì, in mezzo a quelle strade della zona della stazione, vicino alla prostituzione, quella Firenze ancora popolare a sprazzi, malgrado il terribile pogrom. E poi in via delle Pinzochere. Le Pinzochere. Laiche dell’ordine francescano. Sì di nuovo vicino a Santa Croce in un’altra casa torre, queste case dove senti il Medioevo nel corpo e nello slancio verticale delle pareti. Poi per strada. Scrivere a piazza D’Azeglio e là sentirsi altrove, oltre il MedioEvo, oltre la cinta delle mura, in uno spazio ottocentesco. Scrivere seduta alla panchina e ricordare incontri di altri tempi, altre vite. Poi sempre per strada al giardinetto di fronte alla libreria di via Gioberti, di fronte alla scuola dei Salesiani, in fondo fondo, proprio vicino a via Piagentina, dove viveva Lando, scrivere appoggiata a un albero, scrivere un testo sulla parola muro, scrivere sul muro e immergersi ancora di più nelle profondità della mura fiorentine.
Scrivere sull’autostrada. Prendere appunti al volo, frasi lette qua o là, graffiti sui ponti e parole dei lavori stradali, “rainurage” mots des travaux publics, operazione che consiste a creare punti di sfogo dell’acqua per permettere una buona presa dei pneumatici sull’asfalto, chissà come si dice in italiano, vivere sprazzi di parole in velocità, fra una città e l’altra, quando il paesaggio invade tutto e tu diventi paesaggio in corsa, schizzi rapidi sulla aree di servizio o lunghe liste, come liste della spesa, repertori dell’esistente, perdendosi negli oggetti e nelle parole. Scrivere in macchina, tremando.
Scrivere nel rumore di Marsiglia, in questa città che t’invade senza sosta, che vive nelle tue orecchie fino a notte tarda, che resta sempre viva, che non si addormenta mai, questa città che scrive con te, scrivere il rumore di fondo, le sirene, le macchine, le urla, e ora stanotte i condizionatori d’aria. Scrivere il rumore del condizionatore d’aria dei vicini, nella notte fonda marsigliese.
Alle Oblate, sempre a Firenze. Scoprire questo convento, poi piccola biblioteca, la biblioteca di Sant’Egidio, scoprire tutti i cortili di questo convento, i portici, le scale, perdere le parole in mezzo alle scale e ritrovarle fra uno scaffale e l’altro della biblioteca in mezzo a un tempo del passato e uno del futuro, in una città che non è più la tua eppure resta là, sfuggente come sempre ogni volta che ci torni. Ritrovare la città fra i piani di questa biblioteca comunale, aperta dalle 8h alle 24h quell’estate che l’abbiamo frequentata tutti i giorni, ti ricordi? Le sale che si susseguono una dopo l’altra, gli schermi, tutti quegli schermi, e quella sala che diventa internazionale d’un colpo, stampa di tutto il mondo e telegiornali, magistralmente internazionale, tutti a seguire le notizie del proprio paese, e trovare finalmente un luogo dove ci si sente a casa e non per strada. Scrivere in mezzo ai libri, alle lingue, al via vai di studenti universitari, scrivere sulla letteratura postcoloniale, scrivere seguendo le tracce e cercare la traccia dello scrivere tra più lingue. E d’improvviso farsi sorprendere dal Cupolone, mirabolante visione. Nous étions ensemble, dans cette bibliothèque. La pause café au 2ème étage, le long des couloirs du cloître. La senzazione di toccare con lo sguardo il Cupolone, di poterlo abbracciare. Scrivere con il Cupolone di Brunelleschi.
Scrivere per bar a Marsiglia, irrequieta ricerca dell’impossibile luogo. Alle Danaïdes di pomeriggio, in mezzo ai giocatori di scacchi. Al Blum in mezzo a chi lavora ognuno dietro al proprio computer, bere un cioccolato caldo dopo l’altro, finalmente un buon cioccolato caldo a Marsiglia. Scrivere alla Caravelle, tutto il giorno, con la città che entra dentro il bar, via vai continuo di città. Scrivere fra un bar e l’altro del Vecchio Porto, peregrina, in questo porto.
Che bel testo! Conosco pochissimo Firenze, non mi sono reso conto a che punto è una città chiusa. Mi piacerebbe leggerre « Parigi è una città di mare » e i prossimi libri.